IL DIARIO DI ANNE FRANK A TEATRO COINVOLGE E FA PENSARE
Al Teatro Belli di Roma per il terzo anno consecutivo torna in scena, in occasione del Giorno della Memoria, “Il diario di Anne Frank”, uno dei capolavori del teatro del ‘900 e Premio Pulitzer per la drammaturgia nel 1956, ben allestito da una squadra di attori capaci ed affiatati.
E’ nell’immediato dopoguerra che Otto Frank, unico superstite della famiglia, ritorna ad Amsterdam dopo essere stato prigioniero dei nazisti e rivede Miep Gies, sua segretaria e soprattutto sua protettrice insieme al marito Jan: la coppia per due anni aveva nascosto (e nutrito) la famiglia Frank, il dottor Dussel e la famiglia van Daan in una soffitta. Ed è in quella stessa soffitta che Miep trovò il diario di Anne, consegnandolo anni dopo al padre della ragazza, al suo ritorno. Il diario fu pubblicato nel 1947, diventando ben presto un enorme successo mondiale.
Dal diario – che inizialmente si intitolava “Il retrocasa” – fu poi tratto, negli anni ’50, un adattamento teatrale a cura di Frances Goodrich e Albert Hackett, che in questo allestimento – nella traduzione di Alessandra Serra e Paolo Collo – vede la regia di Carlo Emilio Lerici. La produzione è del Teatro Belli e della Compagnia Mauri Sturno; i brani tradizionali ebraici sono cantati da Eleonora Tosto, anche interprete nel ruolo di Miep.
L’ambiente della soffitta è reso con una efficace scenografia a due livelli, uno spazio reticolato che è insieme una prigione per i corpi e le anime, con le lunghe ore di silenzio da rispettare per non far insospettire gli impiegati degli uffici sottostanti, ed un continuo scontrarsi tra personalità così diverse costrette a condividere senza sosta uno spazio così angusto.
Il lavoro è costruito in modo da sembrare un piano sequenza di due ore, che in realtà parte dal ritrovamento del diario e racconta i due anni di segregazione precedenti, mettendo in scena paure, timori, gioie e conflitti, sino al tragico finale.
Un’esperienza immersiva, ben sostenuta da una squadra di dieci bravi attori (gli otto rifugiati più la coppia che li aiuta a nascondersi), in un rapporto costante con il fuori scena ben reso dai transiti in platea e dalla presenza di contributi audio – che a nostro avviso avrebbero potuto essere valorizzati con più forza – a simulare perquisizioni, incursioni aeree, e più in generale a portare nel micro-cosmo dei rifugiati le vicende del mondo esterno: dai timori di essere scoperti alla gioia per lo sbarco in Normandia, dalle sofferenze per il poco cibo alla speranza, purtroppo disattesa, della liberazione da parte degli Alleati, che come sappiamo non faranno in tempo.
Ottimo l’affiatamento degli attori, con un plauso a Raffaella Alterio per l’intensità e la freschezza della sua interpretazione di Anne; ma nessuno è da meno per partecipazione ed affiatamento, essenziali in un lavoro corale come questo; ci sentiamo solo di muovere qualche appunto alle cadenze dialettali di alcuni degli interpreti, nitidamente avvertibili e che diluiscono in parte il coinvolgimento emotivo dello spettatore, che viene inevitabilmente richiamato ad una territorialità estranea al testo.
Nonostante le terribili condizioni di vita e le speranze sempre più labili di salvezza, fino all’ultimo la giovane Anne Frank conserva la sua voglia di vivere e la sua fiducia nell’umanità: “…continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo…” Una testimonianza ancora attuale e sempre toccante, che è allo stesso tempo un monito a non dimenticare gli orrori delle persecuzioni, ed un invito a non perdere mai la fiducia per un futuro migliore.